La lunga rotta per la Puglia

di Alasdair Scott Sutherland

Abbiamo visitato la Puglia per la prima volta nel 2003 ma la decisione di trasferirci in questa zona è stata presa un mercoledì mattina di quattro anni dopo. Dobbiamo tutto a un uomo di nome Marco, che lavora nel supermercato Despar alla periferia di Cisternino.

Quell’anno Felicity e io avevamo affittato una casa nelle vicinanze. La guida fornita col cesto di benvenuto ci ha suggerito il supermercato locale più prossimo dove ci siamo subito diretti per fare provviste.

In quella fase della nostra vita, fare la spesa non era sempre un’esperienza piacevole. Avevamo posseduto una casa nella regione del Tarn nel sud-ovest della Francia per quasi vent’anni. Qui ogni sabato mattina visitavamo il nostro mercato locale a Rabastens. Le verdure erano sempre fresche ed eccellenti, ma il posto non era divertente. Parlavamo entrambi abbastanza bene il francese e facevamo sempre uno sforzo per chiacchierare con i commercianti ma era difficile strappare anche solo un sorriso. Dopo Rabastens, ci recavamo nella città successiva dal miglior macellaio della regione. Andavamo quasi religiosamente ogni settimana da M. Darnise. Preparava ogni taglio di carne esattamente come lo volevi, con grande cura, e lo incartava con estrema attenzione.

Ma seppure clienti abituali da dieci anni, spendendo sempre più di cinquanta euro ad acquisto, non avevamo mai ricevuto alcun riconoscimento personale, cortesia e né men che meno un assaggio gratuito di una salsiccia. Una volta, ricordo, avevo ordinato abbastanza carne per una casa piena di ospiti per un lungo weekend e il macellaio ci aveva presentato un conto di sessanta euro e quattordici centesimi. La signora alla cassa ha teso la mano, io le ho dato i sessanta euro e lei ha tenuto la mano aperta in attesa dei quattordici centesimi. Succedeva ogni volta.

Ma torniamo a Marco. In fondo al supermercato c’era una grande e invitante salumeria. Quando finalmente arrivò il turno di Felicity, l’uomo sorridente dietro il bancone, nella sua uniforme bianca e il cappellino rosso, la guardò e disse: “Mi scusi, lei è inglese?”. “Sì”, confermò Felicity, “come posso aiutarla?”.

“Per favore, sarebbe così gentile,” chiese lui con un grande sorriso, “da dirmi come si dice in inglese ‘quante fette?’. Vedete”, continuò, indicando il suo display colorato, “abbiamo molti inglesi qui. Quando puntano al prosciutto, al salame o alla mortadella, devo chiedere ‘quante fette?’”. “Certo”, annuì lei, ridendo di rimando. “Si dice: how many slices?”.

Lui lo ripeté e poi prese l’ordine. Gli chiedemmo il suo nome e Marco, pieno di charme, ci augurò una buona vacanza. 

L’anno seguente, eravamo di nuovo nelle vicinanze e siamo tornati al supermercato. C’era Marco al solito posto che mentre Felicity si avvicinava al bancone alzò lo sguardo e la vide. Ci fu un piccolo lampo nei suoi e lui alzando le braccia in aria esclamò “How many slices?!”. Corse fuori da dietro il bancone, abbracciò Felicity, la baciò su entrambe le guance: “Benvenuta, benvenuta…”, si diresse nel suo piccolo ufficio e le portò in regalo una coppia di graziose tazzine da caffè.

“Penso che sia ora di vendere la casa in Francia e trasferirci qui”, disse Felicity, mentre tornavamo all’hotel. 

La strada verso somewhere

Stavamo guardando un documentario televisivo sul nuovo ambiente politico, ma Felicity era perplessa.“Chi sono questi liberaldemocratici di cui continuiamo a sentire parlare?”. “Tesoro, siamo noi” rispondo io. 

Dall’età di vent’anni, Londra è stata la nostra casa. Abbiamo entrambi vissuto nello stesso quartiere di Kensington e Chelsea dal 1966. Ecco perché siamo rimasti perplessi nell’identificarci come gli Anywheres del libro di David Goodhart del 2017, The Road to Somewhere.

Goodhart sosteneva che la popolazione del Regno Unito e di molte economie avanzate è sempre più divisa tra Somewheres e Anywheres. I Somewheres, dice, sono in gran parte socialmente conservatori e non metropolitani. Le loro vite sono basate su un’affinità con il luogo. Hanno identità chiare: contadino scozzese, casalinga della Cornovaglia, tassista di Birmingham, e in generale non hanno contribuito all’emigrazione su larga scala. Una donna Somewhere è probabile che viva a non più di dieci chilometri dalla madre. 

Al contrario, dice, gli Anywheres dominano la cultura e la società liberaldemocratica europea. Gli Anywheresbritannici avrebbero votato, come noi, per rimanere nell’Unione Europea. Essi tendono a essere ben istruiti e a prosperare lontano da casa o all’estero. Non si preoccupano di dove vivono, dice Goodhart, ma conferiscono un “alto valore all’autonomia, alla mobilità e alla novità” mentre pongono meno enfasi su “fede, bandiera e famiglia”. Gli Anywheres sono a loro agio con l’immigrazione, l’integrazione europea e la legislazione sui diritti umani, “diluendo, così le rivendicazioni della cittadinanza nazionale”.

Siamo Anywheres? Da quando ci siamo sposati nel 1984, abbiamo posseduto proprietà all’estero, a Maiorca, poi nel sud-ovest della Francia, affittato un appartamento a Parigi e ora comprato in Puglia. Tra il 1976 e il 2004, quando sono andato in pensione, ho lavorato a Londra, Hong Kong, Singapore, New York, Francoforte e Parigi. Felicity ha lavorato a Londra prima per una ditta americana, Squibb, poi per una francese, Yves Saint Laurent, 

in seguito per una italiana, Versace, e viaggiava regolarmente tra Parigi e Milano, senza mai spostare la sua scrivania. Probabilmente siamo Anywheres.

Ma la nostra casa è sempre stata a Kensington. Entrambi abbiamo sempre pagato le tasse britanniche, quindi non sono sicuro che ci meritiamo questo titolo. Dobbiamo essere fra quelli che stanno esattamente nel bel mezzo delle due posizioni.

Non è mai stata una mia idea avere una casa fuori dalla Gran Bretagna. Finché non ho incontrato Felicity, ero abbastanza contento di andare a fare una vacanza occasionale all’estero. Ma quando le ho chiesto di sposarmi, mi ha fatto promettere che non l’avrei mai fatta vivere nella campagna inglese. 

Il suo primo marito, il giornalista Reginald Bosanquet, aveva comprato un’enorme villa nel Kent, anche se sapevano bene che nemmeno il precedente proprietario, l’attore Rex Harrison, poteva permettersela. Dopo una settimana di lettura del News at Ten, Reggie ogni weekend organizzava grandi feste con ospiti e Felicity doveva cucinare cene sontuose su una stufa a due fuochi, dato che non potevano permettersi un fornello adeguato. Poi, la domenica pomeriggio, doveva svuotare il frigorifero e impacchettare il tutto per portarlo a Londra. “Mai più”, disse “neanche morta”. 

Chiunque abbia vissuto a Hong Kong sa che gli appartamenti lì sono molto piccoli e gli affitti molto cari. Così, quando finalmente sono tornato a Londra nel 1982, ho comprato la casa più grande che ho potuto trovare per i pochi soldi che avevo risparmiato. La casa a Clapham aveva un enorme seminterrato e altri tre piani, dieci stanze, di cui i miei mobili ne riempivano a malapena due. Una volta che Felicity ha trovato il coraggio di chiedermi di andare a vivere con lei, abbiamo messo la casa sul mercato. 

Proprio quel fine settimana siamo stati invitati da una grande amica di Felicity a stare con lei all’Anchorage, appena fuori Palma, a Mallorca. È bastata una settimana con Jennifer D’Abo per convincerci su cosa fare con i soldi della vendita della mia casa. Abbiamo comprato proprio accanto a lei. L’Anchorage è diventato una via di fuga dalle pressioni del lavoro a Londra. Eravamo in grado di volare laggiù il venerdì sera, a volte anche il giovedì, chiudere la porta, rilassarci, e tornare la domenica sera per riprendere il lavoro immediatamente il lunedì mattina presto. 

Man mano, però, che incontravamo sempre più famiglie mondane, inglesi, olandesi, svizzere, irlandesi, americane, tutti Anywheres che avevano comprato in questo nuovo affascinante complesso di ville, ogni fine settimana diventava sempre più frenetico. I pranzi erano seguiti da aperitivi e poi da cene, oppure da gite in giornata sulla barca di qualcuno, finché tre anni dopo ci siamo resi conto che la domenica sera eravamo entrambi completamente esausti. Era ora di trovare un posto più tranquillo. 

Felicity fu invitata da un’altra amica, Charlotte, ad aiutarla a trasferirsi in una bellissima maison de maitre fuori Gaillac, vicino a Tolosa, nel sud-ovest della Francia. Tornata a Londra, mi fece sedere in cucina e scartò con cura deliziosi pacchetti di saucissonpaté e formaggi della zona. Questo fu un indizio nemmeno tanto sottile che la regione del Tarn sarebbe stata la nostra prossima meta per le vacanze.

Una coppia di buonsenso avrebbe fatto una lista degli ‘ingredienti’ essenziali prima di scegliere il luogo dove vivere: distanza dalla città più vicina, distanza dall’aeroporto, assenza di rumore e di vicini, servizi locali, shopping, accesso al mare. Noi non abbiamo fatto nulla di tutto ciò. Abbiamo invece girato la regione di Gaillac con diversi agenti immobiliari in una serie di fine settimana, finché Felicity si è innamorata di una casa in rovina su una collina, con una vista spettacolare, il cui proprietario agricoltore era morto tre anni prima. Era un rudere, senza acqua corrente, con i muri a un’estremità che si stavano completamente sgretolando. Dopo averla restaurata, amici e parenti venivano ogni anno.

Stava cominciando l’epoca di quegli eventi della vita che alla fine passiamo tutti. La madre di Felicity e sua zia morirono, poi mia zia seguita da mia madre. Abbiamo ereditato mobili, libri, quadri, e non c’era spazio nel piccolo appartamento di Londra. Abbiamo dato via quello che potevamo alla famiglia e tutto il resto è stato spedito al Tarn. A questo punto, con ulteriori lavori di restauro, avevamo quattro camere da letto nella casa principale e, nel fienile, una dependance per gli ospiti con altre tre stanze. Ora c’era più ‘roba’ nella nostra seconda casa che in quella principale. 

Durante i lavori di restauro, avevo chiesto al capomastro cosa pensassero lui e i suoi colleghi degli stranieri inglesi, come noi, che venivano a comprare le loro proprietà. 

“A noi va bene”, disse. “Preferiamo di gran lunga avere voi che i parigini”.

L’anno dopo Felicity e io eravamo a un pranzo in zona dove, sapendo che parlo la lingua del posto, la nostra padrona di casa inglese mi aveva fatto sedere tra due signore francesi. Una delle due mi domandò da quanto tempo fossimo lì e se avessimo molti amici francesi.

“Purtroppo no”, risposi. “Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma nessuno. Conosciamo tutti nel nostro villaggio, ma nemmeno lì abbiamo amici”.

“Capisco”, disse lei. “Non siamo molto accoglienti, vero?”. Moglie di un medico, originaria di Parigi, non si era ancora sentita accettata nemmeno dopo vent’anni.

Non è stata solo la naturale mancanza di fascino o di cortesia dei francesi a farci pensare a un cambiamento. All’inizio degli anni Duemila, abbiamo notato che era successo qualcosa ai ristoranti e ai bistrot della Francia rurale. Io do la colpa all’introduzione della nuova legge che impediva ai dipendenti di lavorare più di trentacinque ore alla settimana. Immaginate di provare a gestire un ristorante sei giorni alla settimana, quando una giornata lavorativa media in questo tipo di attività è di dieci ore. I vostri dipendenti non potrebbero continuare dopo l’ora di pranzo del mercoledì. 

Per un solo collaboratore in più, le tasse e gli oneri sociali supplementari, che in Francia pesano per circa il quaranta per cento sul salario, renderebbero impossibile qualsiasi forma di profitto.

L’alternativa per la maggior parte dei piccoli bistrot era tagliare i costi, smettere di cucinare il cibo e comprare tutto sottovuoto e già pronto dalla filiale locale della Metro. Ben presto, nei vari ristoranti che abbiamo visitato, tutto veniva da Metro. Le posate sembravano le stesse, la porcellana era identica, la cristalleria era simile e, con pochissime eccezioni, i menu erano ormai indistinguibili. 

Era ora di andare. 

La colpa dello scassinatore

Ma torniamo alla Puglia. Un’altra causa plausibile della nostra decisione di comprare qui è stato il ladro. È stato grazie a lui che abbiamo conosciuto le persone che sono poi diventati i nostri più cari amici in Puglia, facendoci conoscere come si deve la zona (e il direttore di questa rivista). 

Nel 2008 affittammo un casolare nell’entroterra a pochi chilometri da Monopoli, con l’intenzione di passare quattro settimane a cercar casa. La terza sera, mentre eravamo fuori a cena, tutto ciò che poteva essere venduto, computer portatile, macchina fotografica, CD, fu rubato. Odiavamo quel piccolo cottage, una cappella convertita senza finestre e senza ombra all’esterno. Quindi il furto fu la scusa perfetta per dire all’agente che doveva trovarci un altro posto per il resto del soggiorno. 

Quando arrivammo a La Rascina, la coppia che uscì per salutarci era glamour come l’ambiente circostante: Leonie, alta e con i capelli castani con indosso un fluttuante abito di lino bianco di Romeo Gigli, e suo marito Paolo, elegante in un’abbagliante camicia bianca e pantaloni beige. Australiana di origine olandese, Leonie è una dei tanti viaggiatori internazionali che hanno stabilito la loro casa in Puglia, mentre Paolo è un milanese cresciuto a Sydney. Sono decisamente Anywheres.

Purtroppo il bed and breakfast Masseria La Rascina ha chiuso recentemente. Ma molti direbbero che Leonie e suo marito hanno contribuito alla crescente popolarità della regione. In un giardino circondato da mura, tra gli ulivi, sotto la magica Città Bianca di Ostuni, accoglievano ogni estate centinaia di ospiti internazionali, diversi dei quali, come noi, si sono innamorati della zona e hanno deciso di comprare qui. 

Di giorno, molti dei loro clienti si recavano in spiaggia, a pochi chilometri di distanza, o a oziare intorno alla piscina prima di svanire nell’ombra per il pranzo sulla loro terrazza privata. La sera, quando entravamo nel salotto all’aperto per chiedere i consigli di Paolo e Leonie su un ristorante per la cena, siamo stati spesso accolti per incontrare i loro amici, sia altri ospiti sia gente del posto, che passavano per un drink e per un saluto. Leonie e Paolo con il loro fascino e la loro vivacità incoraggiavano rapidamente alla convivialità e a fare nuove amicizie. 

Durante i nostri primi due soggiorni nel 2008 e 2009, abbiamo incontrato un gruppo eclettico di ospiti, tra cui un chitarrista e sua moglie cantante jazz che si riposavano tra un concerto e l’altro, un editore e un fotografo di Milano in cerca di location, una coppia romana in vacanza dall’industria petrolifera del Kazakistan, una famiglia del Kent che stava restaurando una masseria, e una coppia australiana-singaporiana che usava La Rascina come base per i propri tour.

Caccia alla casa

Nel corso di quelle estati, abbiamo esplorato quasi tutta la regione, da oltre il nord di Bari fino all’estremo sud di Castro. Ho conservato i dettagli di ognuna delle centotrentadue case che abbiamo visitato.

Questa volta avevamo fatto una vera e propria lista della spesa. La casa ideale avrebbe dovuto avere almeno quattro camere da letto, un giardino, molti alberi, nessun traliccio, nessuna strada principale, nessuna fabbrica, allevamento di maiali o impianto di depurazione nelle vicinanze, nessun vicino nel raggio di almeno duecentocinquanta metri e nessun cane che potesse abbaiare tutta notte. 

Ho dato la lista ai vari agenti immobiliari che volevano portarci in giro. Ci è voluto molto tempo per convincerli che facevamo sul serio. Abbiamo insistito per avere i dettagli di ogni proprietà prima di salire in macchina, ma spesso gli agenti avevano solo una vaga idea di dove andare. 

All’inizio, ci hanno portato in diverse proprietà che non avrebbero mai soddisfatto nemmeno uno dei nostri criteri, ma gli agenti hanno imparato presto quando, con diversi ovvi “no”, Felicity si è rifiutata persino di scendere dalla macchina. 

A questo punto, sapevamo che Ostuni era il nostro paese preferito tra quelli bellissimi in cima alle colline che punteggiano quella parte del paese. Così abbiamo iniziato a restringere la nostra ricerca, fino a trovare il luogo ideale sulla soglia di casa: a soli dieci minuti da La Rascina, su una tranquilla stradina di campagna, passavamo spesso davanti a un enorme scheletro di un vecchio frantoio, dove, ci dissero, i contadini locali portavano le loro olive per essere lavate e selezionate prima di essere spremute. Circondato da alti alberi, assomigliava all’edificio solitario che si vede all’inizio di ogni film horror: la giovane coppia parcheggia la macchina e si avvia lungo il viale. Si può sentire il pubblico del cinema gridare: “non entrate lì dentro!”. Ci affrettavamo perciò a proseguire.

Alla fine decidemmo di imboccare quella tranquilla stradina di campagna e una volta superata la vecchia porta scricchiolante di legno massiccio, le stanze all’interno erano straordinarie, con soffitti di sei o sette metri. Felicity capì subito che quella era ciò che voleva.

Concordammo che avremmo avuto bisogno di un buon avvocato. Le guide all’acquisto di una casa in Italia suggeriscono che non è una buona idea avere una banca o uno studio legale nella città più vicina, perché vorrebbe dire che troppe persone del posto sanno troppo di te. Così dal nostro appartamento a Londra, ho cercato su Google ‘studio legale di lingua inglese in Puglia’. 

“Devi essere pazzo”, disse Felicity, “non troveremo mai qualcuno di valido così, di punto in bianco”. 

Invece non avremmo potuto essere più fortunati. Quando ho contattato Nick Metta, per chiedere se il suo studio legale sarebbe stato in grado di agire per noi per l’acquisto di una vecchia casa vicino a Ostuni, ha risposto in un inglese impeccabile e ci ha immediatamente invitato a pranzo nella sua casa di famiglia vicino a Bari. Non riesco a immaginare nessun avvocato francese fare lo stesso.

Dal giorno in cui abbiamo firmato l’acquisto nello studio del notaio Alessandro Armenio a Locorotondo, al giorno in cui ci siamo trasferiti, sono passati quattro anni. Prima abbiamo dovuto vendere la casa in Francia. Con la nostra solita fortuna l’abbiamo messa sul mercato al momento del crollo del 2009 e siamo riusciti a vendere solo nel 2013. Ma il periodo intermedio ci ha dato tutto il tempo per pianificare i lavori necessari e per richiedere tutti i permessi. Non condividerò con voi i dettagli riguardanti l’architetta a cui ci siamo rivolti per il progetto, dato che l’abbiamo licenziata una volta iniziate le opere di restauro. Era brava con i moduli e il lavoro d’ufficio, ma fu chiaro che gestire il progetto della chiusura di una porta sarebbe stato troppo per lei. 

Finalmente, dopo diciotto mesi, la casa era pronta. I consueti camion rossi della White and Co. Traslochi apparvero alla fine del nostro nuovo viale e ci trasferimmo per iniziare la nostra nuova vita in Puglia. 

Gli Anywheres erano ora somewhere.

Alasdair Scott Sutherland – Born in Ceylon 
(Sri Lanka) of a Scots tea-planting family, Alasdair Scott Sutherland was educated in England and Ireland. He trained in hotels before joining an international public relations agency. For five years he was a London restaurateur, then returned to PR, working in Hong Kong, Singapore, London, Paris, and Frankfurt. Alasdair served for 35 years on the board of the International Public Relations Association and was elected IPRA President in 2001. Since retiring he has published The Spaghetti Tree: Mario and Franco and the Trattoria Revolution, a social history of the Italian transformation of British restaurant culture in the early ’60s, and Baggage Reclaimed, a biographical novel about his family during the second world war. Alasdair and his wife, the former Felicity Bosanquet, divide their time between London and Ostuni, Brindisi, where they have restored an ancient Masseria.

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