di Ursula Janssen
Cos’è venuto prima la gallina o l’uovo? Nelle cosmogonie di molte culture la risposta è sorprendentemente chiara: l’uovo cosmico (o uovo del mondo) è all’origine di tutte le cose. Oppure no? Perché, dopo tutto, chi ha creato l’uovo cosmico? Tale mito era conosciuto in molte parti del mondo, tra cui l’Egitto, la Persia zoroastriana, l’India, la Cina e la Polinesia. In una delle numerose narrazioni egizi sulla creazione giunte fino a noi, le divinità primordiali incubano il primo di tutti gli ovuli, da cui alla fine si schiude il dio creatore sotto forma di un’oca, Gengen Wer (dall’egizio: Grande Starnazzatore), che a sua volta genera il mondo. Fu probabilmente questo mito a influenzare la concezione del mondo degli orfici greci. Gli orfici erano una corrente religiosa diffusa nella metà del I millennio a.C., soprattutto nell’Italia meridionale, che credeva nella trasmigrazione delle anime. Anche i pitagorici emersero da un contesto simile e da una sfera di influenza orfica. Secondo le idee orfiche, è la divinità primordiale Phanes, nata da un uovo, che crea il mondo. È anche chiamata Protogonos (primogenito) e, nelle fonti non orfiche, è occasionalmente equiparato a Kronos, Dioniso, Mitra o anche a Eros. In ogni caso, l’uovo era sacro per gli orfici come simbolo della trasmigrazione delle anime, motivo per cui si rifiutavano di mangiare uova.
Si può supporre che questi miti sulla creazione abbiano a loro volta alimentato storie simili di nascite di eroi e divinità. Tra tutte spicca quella della bella Elena che venne alla luce da un uovo insieme ai gemelli Castore e Polluce. Questa genesi piuttosto insolita seguì all’unione tra la loro madre Leda e Zeus, celato sotto le spoglie di un cigno.
L’idea di un uovo all’origine del mondo si ripropone ancora oggi: lo stato dell’universo prima del Big Bang, una compressione assoluta della massa, è stato definito da alcuni scienziati – scherzando, suppongo – come l’Uovo Cosmico. Il simbolismo dell’uovo come rappresentazione della resurrezione è sopravvissuto fino ai nostri giorni anche nel cristianesimo, con l’uovo di Pasqua. Usanze simili con uova colorate si trovano anche nei paesi dove si celebra l’antica festa di primavera iraniana Nowruz.
Come simbolo della vita dopo la morte, non sorprende che le uova fossero anche offerte ai morti come dono di sepoltura, come cibo nell’aldilà da un lato e come simbolo di vita dall’altro. Nel mondo dell’antichità classica, soprattutto nell’Italia meridionale, nelle tombe sono stati rinvenuti, non solo gusci d’uovo ma anche uova d’argilla. Rappresentazioni di uova in un contesto mitico si trovano anche su vasi pugliesi dipinti. Modelli di uova sono stati scoperti in diverse tombe a Metaponto, al confine tra Basilicata e Puglia, a quel tempo un importante centro dei pitagorici. È da una di queste tombe che abbiamo oggi un piccolo reperto in pietra raffigurante un uovo con una donna che fa capolino, probabilmente la rappresentazione della nascita di Elena, ora nel museo archeologico di Metaponto.
Prima di procedere a dare suggerimenti su come consumare uova, vorrei discutere di un altro argomento, quello dell’oracolo delle uova. L’oomanzia (divinazione attraverso le uova) degli orfici è descritta in fonti tardo antiche: da un uovo posto nel fuoco si osservava dove l’albume usciva per primo. Se l’uovo scoppiava, era considerato un cattivo presagio. Avete mai provato a cuocere un uovo di gallina nella cenere calda, semplicemente vicino al fuoco? In realtà scoppia sempre. O gli orfici erano pessimisti dichiarati, o la descrizione del processo dell’oracolo non è corretta. Al contrario, diverse usanze oomantiche più recenti, un tempo diffuse in tutta Europa, possono essere confermate. Per esempio, per determinare il sesso di un nascituro, un uovo di gallina fecondato veniva marcato e dedicato a una donna incinta prima di essere incubato da una gallina. Il sesso del pulcino nato doveva corrispondere al sesso del nascituro. In Puglia, invece, l’interpretazione delle striature dell’albume versato in un bicchiere pieno d’acqua è durata fino ai tempi moderni. Si tratta di una pratica che, tra l’altro, faccio eseguire anche alla masciàra, un’erborista tradizionale pugliese, nel mio romanzo “La traccia dell’emiro”:
“Una delle tecniche che la zia di Lia usava regolarmente era il rituale dell’albume. Per eseguirlo, si versava l’albume di un uovo in un grande bicchiere d’acqua. Il bianco dell’uovo formava così delle striature che potevano poi essere interpretate. Tra l’altro, (la zia) chiacchierava con il visitatore mentre osservava il liquido vischioso e lattiginoso, facendo domande e ascoltando le sue risposte. Lia conosceva sua zia abbastanza bene da capire che non credeva di poter davvero vedere il destino di qualcuno in un bicchiere. Non avrebbe mai preteso di farlo. Ma alla fine di una seduta – zia Jann non avrebbe nemmeno usato questa parola – i problemi erano stati analizzati, le cause trovate e le decisioni prese”.
Le uova di gallina, deposte il venerdì Santo, erano considerate particolarmente potenti. Secondo una credenza popolare, potevano predire il raccolto dell’anno successivo o, mangiate crude o cotte, proteggere dalle malattie. In generale, alle uova venivano attribuite proprietà protettive, come la capacità di scacciare il “malocchio”.
La maggior parte delle ricette a base di uova che sono sopravvissute dall’antichità classica riguardano dolci simili a budini. Dubito che i romani e i greci consumassero le loro uova quasi esclusivamente come dessert; più probabilmente, come accade oggi, le uova venivano comunemente consumate sode, fritte o come una semplice frittata, preparazioni che nessuno ha sentito il bisogno di descrivere. Tuttavia, si distingue una ricetta dell’antica Roma per un antipasto a base di uova: In ovis apalis dal libro di cucina attribuito ad Apicio, De re coquinaria (Sull’arte della cucina).
In ovis apalis – Uova in salsa di mandorle
ingredienti:
4 uova
1⁄2 cucchiaino di pepe macinato
levistico fresco o secco
1⁄2 tazza di mandorle
1 cucchiaio di miele
1 cucchiaio di aceto di vino
salsa di pesce o in alternativa salsa di soia
Sbollentare le mandorle e, dopo averle pelate, metterle a bagno per un’ora circa in acqua calda.
In una casseruola, portare dell’acqua a ebollizione e cuocere le uova per cinque minuti. Infine far scorrere su di esse dell’acqua fredda.
In un mortaio pestare le mandorle, il pepe, il levistico, il miele, l’aceto e la salsa di pesce fino a ottenere una pasta liscia. Sbucciare le uova, tagliarle a metà, disporle su un piatto e mettere un cucchiaio di salsa su ogni metà.
Buon appetito, salute e lunga vita!
Ursula Janssen
Dr. Ursula Janssen è un’archeologa, storica culinaria e scrittrice che vive con la sua famiglia in Puglia nel “Trullo Cicerone”, dopo aver trascorso diversi anni a vivere e lavorare in vari paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Scrive soprattutto romanzi storici, ma anche ricettari di archeo-cucina.